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La figlia del dottore:primo giorno di lavoro insieme

Era una giornata splendida quel lunedì. Mi alzai carica come una molla ma con un velo di ansia per il nuovo ruolo che mi era stato attribuito. Quel giorno avrei incontrato per la prima volta la dottoressa che avrei assistito in modo esclusivo. Eh già, voi non sapete che  il dottore lo assistevamo in due in quanto lui non voleva rinunciare alla sua vecchia assistente. Era talmente legato alla sua presenza che non la lasciava neppure andare in pensione. Lei era comunque compiaciuta di questo suo attaccamento e, a dirla tutta, non riusciva neppure lei ad immaginare un distacco da quel posto che l'aveva vista crescere.
E così mi pettinai e truccai con maggiore cura, ovviamente un trucco leggero adatto alla situazione, e ripiegai in uno zaino la divisa nuova di zecca.
La mia abitazione era distante dalla studio ed i mezzi non passavano frequentemente così, colta da un picco d'ansia, decisi di fare il percorso a piedi. Mezz'ora di strada durante la quale fantasticavo sull'aspetto della dottoressa, sulla voce, sulle parole che mi avrebbe rivolto. Pensavo tra me e me che sarebbe stata cordiale ma poi, conoscendo il padre, molto schivo, mi ricredevo immediatamente. Mi dicevo che non era il caso di illudersi di trovare un'accoglienza amichevole, che sicuramente avrebbe semplicemente impartito ordini ed io avrei dovuto eseguirli al meglio per mantenere il mio posto di lavoro.
Ogni tanto guardavo le vetrine, anzi, mi ci specchiavo per verificare che tutto fosse in ordine. Perfino la postura doveva essere corretta, mi avevano insegnato da piccola che la schiena deve stare dritta ed il mento in alto e non solo per questioni di prevenzione di dolori muscolari. Mia madre aveva letto qualche libro o visto qualche film che le aveva suggerito tecniche strampalate che mi aveva subito trasferito facendomi camminare con una pila di libri in testa. Questo serviva, secondo lei e chissà chi altro,  per acquisire il giusto equilibrio, l'andatura elegante e la postura corretta. Oggi posso dire che il tutto è miseramente fallito ma all'epoca dei fatti ci credevo anch'io e mi impegnavo costantemente.
In quel momento le vetrine riflettevano una bella figura che a passo spedito e con la schiena perfettamente dritta si dirigeva verso il luogo d'esame.
Sapevo che sarei stata giudicata da tante cose ma prima di tutto dall'aspetto e dal modo di comunicare. Avevo studiato le lingue e questo mi agevolava in quanto le lezioni di fonetica mi fecero ben presto  considerare la necessità di rivedere la mia pronuncia anche in italiano.
Essendo meridionale avevo moltissimi difetti da correggere ed ogni giorno mi dedicavo a quell'esercizio in modo assolutamente autonomo. Mi concentravo sulla pronuncia dei giornalisti e degli speaker dei vari spot pubblicitari in tv o alla radio scimmiottando il tono, il timbro, gli accenti.
Giunsi finalmente davanti al maestoso portone in legno massiccio e citofonai (non avevo le chiavi, c'era la servitù, non era necessario).
Quasi senza fiato mi cambiai nello spogliatoio e mi avviai verso la sala operativa. La dottoressa ed io avremmo operato nello studio nuovo, il dottore utilizzava ancora un vecchio riunito che oggi possiamo trovare soltanto  in alcuni musei dell'odontoiatria (in foto un riunito dell'epoca: Castellini), che si presentava spazioso e bellissimo con l'arredo moderno, bianco e  lucido.

Ero lì che verificavo che tutto fosse in ordine quando si aprì la porta ed apparve una ragazza biondissima e bellissima dagli occhi di un azzurro imbarazzante. Non era in divisa quindi pensai che fosse una paziente arrivata in anticipo ed invece sorridendo mi allungò la mano e si presentò dicendomi che correva a cambiarsi e che voleva soltanto salutarmi.
Non ci furono domande, né atteggiamenti di superiorità ; fui immediatamente a mio agio e lei mi guidò con grande maestria. Imparai in poche ore quelle che diventarono ben presto le mie basi per il futuro. Eravamo quasi coetanee e l'intesa nacque immediatamente. Arrivò il momento della pausa pranzo e mi invitò a mangiare un boccone con lei davanti alla TV. Mi confessò che non riusciva a saltare neppure una puntata di Beautiful (io neppure la conoscevo quella sere tv...!) pertanto iniziai a vederla con lei ripetendo il rituale ogni giorno.
Introdusse nello studio anche un elemento molto gradito, non soltanto da me  ma anche dai pazienti: uno stereo portatile.
All'epoca non era così diffuso ed il suo era veramente ad alta fedeltà, con un mangianastri ( si chiamava così il lettore di cassette che riproducevano musica) che riproduceva H24 l' LP di Luca Carboni. La canzone Farfallina, ancora oggi, suscita in me emozioni fortissime.

Finita la giornata ci fermammo a fare due chiacchiere e lei si mostrò soddisfatta della mia collaborazione. Ricordo che ammirai moltissimo la sua bellezza, il suo fisico da modella nonostante un abbigliamento semplice e la determinazione che si percepiva a distanza. Indossava dei fouseaux  con stampa hawaiana dai colori sgargianti, erano l'ultimo grido in fatto di moda, e le stavano divinamente tanto da farmi venire voglia di comprarli subito.
Iniziammo a conoscerci ed a fidarci vicendevolmente fino al giorno in cui iniziai a curare tutti i suoi appuntamenti in modo esclusivo, senza il supporto della anziana collega.
Le giornate scorrevano liete scandite dal Long Playing di Luca Carboni: " Un fiore in bocca, può servire, io non ci giurerei..." musica e parole strazianti ma quando stai bene tutto sembra una melodia celestiale.
Ma andò sempre così?



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